Senza coscienza collettiva, nessun cambiamento sarà mai possibile.
Quel muro di indifferenza totale, quell’ingratitudine perenne, quell’atteggiamento del “tutto dovuto”, quel dare ogni cosa per scontata… È questo il marchio dei nostri tempi.
Non collaboriamo più. Ci facciamo una guerra silenziosa, dentro e fuori casa. E la cosa peggiore è che ormai il conflitto non esplode solo nelle piazze o nei palazzi, ma si insinua dentro le mura domestiche, lì dove dovrebbero esserci sostegno e comprensione.
La città è diventata come un Gran Premio: una corsa al miglior piazzamento, senza tregua, senza esclusione di colpi. Ma è una gara profondamente sbagliata, innaturale, contraria a quello che siamo. Perché intorno a noi tutto funziona in modo armonico e collaborativo. Solo l’uomo si ostina a sabotare se stesso.
Eppure continuiamo a puntare il dito.
Ci lamentiamo dello Stato e dei burattini che lo governano, dei ricchi, dei potentati, delle guerre. Ci lamentiamo di tutto pur di non guardarci allo specchio.
Perché quando abbiamo un briciolo di potere, ci comportiamo esattamente come quelli che critichiamo.
Se siamo proprietari di case, affittiamo a prezzi folli.
Se abbiamo più di quello che ci serve, lo sprechiamo o lo ostentiamo, mentre chi ci vive accanto non arriva a fine mese.
Se vediamo qualcuno in difficoltà, ci voltiamo dall’altra parte.
Siamo diventati vip poveri, che si pavoneggiano sui social, trasformati in vetrine personali di un’ostentazione vuota. L’empatia ha lasciato spazio al chiacchiericcio, la collaborazione alla competizione.
Non abbiamo scelto noi questo sistema? Forse. Ma intanto lo alimentiamo ogni giorno. E a quanto pare ci piace, perché nessuno si tira indietro.
Se non lo capiamo, se non prendiamo coscienza, è inutile sperare in un cambiamento.
È inutile aspettare un “salvatore della patria”: non arriverà mai.
Il vero cambiamento comincia solo quando smettiamo di accusare il mondo e iniziamo a guardarci dentro.

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