Vip poveri: il marchio dei nostri tempi

Senza coscienza collettiva, nessun cambiamento sarà mai possibile.

Quel muro di indifferenza totale, quell’ingratitudine perenne, quell’atteggiamento del “tutto dovuto”, quel dare ogni cosa per scontata… È questo il marchio dei nostri tempi.

Non collaboriamo più. Ci facciamo una guerra silenziosa, dentro e fuori casa. E la cosa peggiore è che ormai il conflitto non esplode solo nelle piazze o nei palazzi, ma si insinua dentro le mura domestiche, lì dove dovrebbero esserci sostegno e comprensione.

La città è diventata come un Gran Premio: una corsa al miglior piazzamento, senza tregua, senza esclusione di colpi. Ma è una gara profondamente sbagliata, innaturale, contraria a quello che siamo. Perché intorno a noi tutto funziona in modo armonico e collaborativo. Solo l’uomo si ostina a sabotare se stesso.

Eppure continuiamo a puntare il dito.
Ci lamentiamo dello Stato e dei burattini che lo governano, dei ricchi, dei potentati, delle guerre. Ci lamentiamo di tutto pur di non guardarci allo specchio.

Perché quando abbiamo un briciolo di potere, ci comportiamo esattamente come quelli che critichiamo.
Se siamo proprietari di case, affittiamo a prezzi folli.
Se abbiamo più di quello che ci serve, lo sprechiamo o lo ostentiamo, mentre chi ci vive accanto non arriva a fine mese.
Se vediamo qualcuno in difficoltà, ci voltiamo dall’altra parte.

Siamo diventati vip poveri, che si pavoneggiano sui social, trasformati in vetrine personali di un’ostentazione vuota. L’empatia ha lasciato spazio al chiacchiericcio, la collaborazione alla competizione.

Non abbiamo scelto noi questo sistema? Forse. Ma intanto lo alimentiamo ogni giorno. E a quanto pare ci piace, perché nessuno si tira indietro.

Se non lo capiamo, se non prendiamo coscienza, è inutile sperare in un cambiamento.
È inutile aspettare un “salvatore della patria”: non arriverà mai.
Il vero cambiamento comincia solo quando smettiamo di accusare il mondo e iniziamo a guardarci dentro.



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Comments

2 risposte a “Vip poveri: il marchio dei nostri tempi”

  1. Avatar .Desire' Kariny

    Secondo me non c’è il ricco che ostenta e il povero che stenta ad arrivare a fine mese.
    Sostanzialmente è questione di carattere perché quando si ha un briciolo di empatia si crea un legame che è un credere a chi non sta bene che poi tutti si lamentano quando le cose non vanno per il verso giusto : c’è anche chi si accorge che c’è un malessere di vita che accomuna più classi sociali.
    Credo che quando c’è sintonia e fratellanza si va avanti qualsiasi sia la classe sociale e poi ognuno guarda le proprie tasche e diventano un po’ tutti uguali… Ognuno si lamenta del poco o del molto che ha. Occorre meno superficialità nello scrivere come fosse il verbo divino.La colpa è del sistema che crea distacchi esistenziali quando invece ci sono basi che non condividiamo , ma ci sono.
    Mio padre diceva : ” Quanto grosso è il pesce , tanto grande sarà la sua lisca.
    Saluti !

    1. Avatar IGS

      Ti ringrazio per il tuo commento, che ho letto con attenzione. Apprezzo sinceramente il tono riflessivo e il desiderio di trovare una dimensione più umana e meno conflittuale nella società di oggi.
      Il mio testo nasce da un’urgenza: quella di denunciare un clima culturale che sempre più ci spinge verso l’egoismo, la superficialità e l’indifferenza. Non è una generalizzazione assoluta, né una condanna definitiva, ma uno sguardo critico su dinamiche che , purtroppo, vediamo ogni giorno.
      Quando parlo di ricchi che ostentano o poveri che faticano ad arrivare a fine mese, non intendo dire che siano “tutti così” o che il carattere personale non conti. Ma le strutture sociali e culturali che ci circondano influenzano i comportamenti, e spesso accentuano disuguaglianze, distanze, ostilità. Se non le nominiamo, finiamo per renderle invisibili.
      Mi colpisce la tua frase: “è questione di carattere”. È vero, in parte. Ma se ci limitiamo a vedere tutto come una responsabilità individuale, rischiamo di ignorare quanto il contesto in cui viviamo incida su chi siamo e su come ci comportiamo. Il sistema, lo dici anche tu, crea distacchi. E io credo che solo partendo da una presa di coscienza collettiva possiamo provare a ricucire quei legami.
      Non volevo scrivere “come fosse il verbo divino”, ma solo far risuonare una domanda: ci riconosciamo ancora negli esseri umani che stiamo diventando?
      Ti ringrazio per aver condiviso la tua visione e per avermi dato l’occasione di chiarire meglio la mia.

      Un caro saluto.
      IGS

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