A volte mi sveglio con un pensiero semplice, ma tagliente:
la vita somiglia maledettamente a una partita di Monopoli.
Ti alzi la mattina, vai a lavoro, paghi se passi da Parco della Vittoria, incassi se passi dal via.
Vai in prigione, ti fermi un turno, oppure sei fortunato e becchi quella carta che ti fa guadagnare qualcosa dal nulla.
Sì, in fondo ha il suo fascino: c’è un ordine, delle regole, una parvenza di giustizia.
Da bambino mi piaceva giocare a Monopoli.
Aveva qualcosa di rassicurante: tutti partivano uguali, tutti sapevano come funzionava il gioco.
Eppure oggi non posso fare a meno di pensare che la vita non è così.
O meglio:
la vita sarebbe anche un Monopoli,
ma in questa versione moderna chi tiene la cassa , il sistema , gioca sporco.
E, diciamocelo, a volte anche gli altri giocatori barano.
E quando te ne accorgi, succede una cosa precisa:
ti viene voglia di alzarti dal tavolo e andartene.
Per orgoglio, per rabbia, per impotenza.
Perché se chi trucca le carte continua a vincere,
se chi imbroglia si compra pure la tua ferrovia col sorriso,
che senso ha continuare a tirare i dadi?
Ma poi ti fermi.
E ti domandi:
chi perde davvero se me ne vado?
La risposta è una lama: tu.
Perché quel gioco, alla fine, ti piaceva.
Ti dava qualcosa. Non era solo vincere o perdere.
Era il modo in cui ti ci perdevi dentro, la leggerezza, il momento.
E allora ti viene un altro pensiero, più maturo, più amaro, ma anche più potente:
e se restassi? Anche sapendo che è tutto truccato?
Se restassi non per ingenuità,
ma per scelta consapevole,
perché , dentro quel caos,
decidi che tu ci stai. Ma a modo tuo.
Ecco, forse è questo il vero punto.
Il momento in cui ti accorgi che il banco bara…
ma invece di andartene, decidi di restare.
Non per accettare le regole truccate.
Ma per vivere comunque.
Perché anche dentro il marcio,
puoi trovare un senso se scegli tu come muoverti.
Magari non puoi cambiare il gioco.
Ma puoi scegliere come giochi tu.
E non è poco.
Anzi, è tutto.
La vita che viviamo , questa società, questo schema,
non è l’unica possibile.
È solo uno degli infiniti scenari che potevano essere.
Ce ne sono stati altri nella storia, ce ne potrebbero essere altri domani.
Ma questo qui…
questo si è imposto con la forza, con l’inganno.
Ha spazzato via tutto il resto.
Già qui capisci che qualcosa è partito storto.
Siamo finiti in un gioco disonesto e ci chiedono pure di giocarci bene,
di sorridere, di stare alle regole.
Ma quali regole?
Le loro.
Fatte per chi ha già vinto prima ancora di lanciare i dadi.
E allora sì: puoi cercare là fuori la “verità”.
Quella con la V maiuscola.
Ma sai cosa trovi?
Strategie per sopravvivere meglio.
Consigli su come diventare un giocatore più furbo, più competitivo.
Regole su come barare senza farti beccare.
Ma vivere davvero?
Essere? Sentire?
Quello lo trovi solo dentro.
Ci sono persone rinchiuse in carcere che dicono:
“Da quando sono qui ho visto posti bellissimi. Ho imparato cose incredibili. Ho ritrovato me stesso.”
E ti chiedi: com’è possibile?
Sono dietro le sbarre, ma si sentono liberi.
E tu, fuori, con la tua casa e il tuo stipendio e la tua macchina, ti senti in trappola.
La verità è che non hanno trovato la loro casa nel carcere.
L’hanno trovata dentro di sé.
Perché si sono fermati.
Hanno colto l’occasione.
Hanno guardato.
Hanno visto.
E allora torno al punto di partenza.
Sì, la vita assomiglia a un Monopoli.
Ma è una versione truccata.
E tu hai due scelte:
- Alzarti dal tavolo e rinunciare al gioco.
- Restare e giocartela comunque, a testa alta, consapevole, coerente.
Magari non vincerai mai Parco della Vittoria.
Magari andrai in prigione più di una volta.
Ma sarà stato il tuo gioco.
La tua partita.
E questo, credimi, vale più di qualsiasi carta bonus.
Se ti è arrivato qualcosa da queste parole, fammelo sapere.
Hai mai sentito il bisogno di smettere di giocare?
E cosa ti ha fatto restare?
Scrivimi, commenta, fammi sapere.
Questo gioco lo giochiamo insieme. Ma ognuno coi suoi dadi.
A presto, IGS

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