Votare o non votare: questo è il dilemma.

Mi ci sono imbattuto qualche giorno fa, in un post che parlava del voto. Un bel post, scritto col cuore. L’autrice metteva in luce il valore sacro del diritto di voto, il senso della democrazia che si esprime con una crocetta su un foglio. Diceva che votare è un diritto conquistato a suon di botte, sangue e parole dure, mica regalato. È anche un dovere, diceva. Un dovere costituzionale, civile, morale.
E fin qui, nulla da obiettare.
Anzi, sottoscrivo tutto. A capo chino e pugno sul cuore.

Poi però mi è partita la domanda che frega tutto il ragionamento:
Votare, sì… ma chi?

Perché il “per” ormai è un vago ricordo.
Una volta si votava per un’idea, un ideale, una visione di Paese.
Oggi si vota… boh.
Per un meme ben riuscito? Per un tormentone social? Perché “tanto sono tutti uguali, ma almeno questo mi fa ridere”?

Quindi resta solo il “chi”.
Chi voti ?
Bella domanda.
Perché anche il “chi” te lo danno già confezionato, col fiocco sopra e l’etichetta “non toccare”. Tu non scegli. Tu prendi atto. Ti mettono davanti delle liste ,liste fatte da loro , e tu puoi al massimo spuntare un nome come si fa con l’ultima vaschetta di insalata al supermercato: un po’ ammaccata, ma è quella che c’è.

E allora viene da chiedersi: il voto ha ancora un senso?

Sì. Forse.
Ma solo SE.

Se i candidati fossero scelti dalla gente e non dalle segreterie.

Se i programmi non fossero spot pubblicitari pronti a svanire al primo giorno utile.

Se ci fosse ancora il confronto politico, e non la sagra dell’insulto con toni meno urlati e più contenuti

Se fare politica fosse una missione, e non una carriera.

Se uno potesse votare una persona che conosce, che vive le sue stesse difficoltà, che ci mette la faccia anche quando non ci sono le telecamere.

Ecco, se tutto questo fosse vero, allora sì: il voto tornerebbe ad essere un atto rivoluzionario. Un gesto potente. Un’arma leggera ma micidiale, come il silenzio di chi non si piega.

E qui si apre un altro fronte.
Perché a questo punto ci sono due tipi di non voto.

C’è chi non vota perché glielo dicono, perché lo ha sentito su YouTube, perché tanto “non cambia niente”. È un non voto passivo, pigro, rassegnato. Una resa incondizionata. Esattamente come lo è, oggi, andare a votare senza sapere cosa si vota, mettendo una crocetta tanto per far contento il nonno partigiano.

E poi c’è l’altro non voto.
Il non voto sentito.
Quello che nasce dallo stomaco e dalla testa.
Quello che non si esprime con la matita, ma con l’assenza.

Ecco, questo è tutt’altro che silenzioso.
È il vero vincitore delle ultime elezioni, con maggioranza bulgara.
È un urlo che dice:
“Signori, qua nessuno di voi mi rappresenta.”

E cavolo, se è un voto.
Altro che scheda bianca.

Magari un giorno qualcuno lo ascolterà.



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