Benvenuti alle serate culturali del nulla! In scena: il libro che nessuno leggerà, la mostra dei soliti noti in salsa acrilico-nostalgica, il reading poetico che odora di formalina.
Pubblico selezionato: capelli bianchi tinti con l’ego, vestiti da cerimonia e labbra che sussurrano dottrina tra un buffet e un applauso di circostanza.
L’importante non è esserci: è farsi vedere. E magari far scappare una citazione in latino, tanto per ricordare al mondo quanto siamo colti.
Sì, certo, la cultura è importante. L’identità del territorio, pure.
Ma ditemi: perché in platea vediamo sempre le stesse facce, e mai un ragazzo?
Forse perché l’aria che si respira non è trasmissione, ma autoreferenzialità. Non è semina, ma masturbazione intellettuale.
I “vecchi” di oggi non vogliono più tramandare nulla. Vogliono restare giovani.
Ci sono tre tipi di Vecchi.
I Vecchi veri – se Dio vuole – sono quelli consapevoli di essere alla fine del viaggio.
Li vedi malinconici, perché non è semplice separarsi dal mondo, ma anche sereni.
Sono quelli che cercano di aiutare i figli, guidare i nipoti. I veri nonni saggi, anche se all’apparenza un po’ imbranati soprattutto con lo smartphone. I Vecchi statua sono quelli che si aggrappano ai completi buoni come a un salvagente.
Si presentano impettiti agli incontri culturali con l’odore di naftalina addosso e lo sguardo da “chiedimi qualcosa”. Parlano solo se applauditi.
Cercano consenso, ammirazione, adorazione, come se il loro tempo fosse eterno. Travestiti da saggi, ma senza saggezza. Pieni solo di sé. I Vecchi adolescenti, invece, fanno il percorso opposto: si tatuano, si lampano, scrollano TikTok come dodicenni.
“Sono giovane dentro!” strillano, mentre affogano nel ridicolo.
Non capiscono che essere vecchi è un onore: significa aver vissuto abbastanza da poter insegnare qualcosa.
Qui ogni fascia d’età è saltata per aria.
I bambini sono chiamati a vivere come adulti: impegni, attività, performance.
Devono già essere qualcuno, quando dovrebbero solo giocare.
Gli adolescenti, che dovrebbero ribellarsi, sporcarsi, fare casino, vengono portati dallo psicologo perché “vivaci”.
Devono già funzionare.
Gli adulti, che dovrebbero vivere il fiore della loro esistenza, si muovono sulle sabbie mobili dell’ansia, del precariato, dell’inseguimento costante di un sogno che cambia forma ogni tre mesi.
E i vecchi, che dovrebbero essere fari nella nebbia, si comportano da naufraghi in cerca di un like.
Un ribaltamento totale.
Nessuno è più dove dovrebbe essere.
Nessuno vive davvero il tempo che ha.
Una volta, chi diventava vecchio lo sapeva. E non lo temeva.
Perché essere vecchio voleva dire essere alla fine del viaggio, sì, ma con le mani stanche che indicavano la via.
Oggi le mani sono incollate al cellulare, a rincorrere l’ultima approvazione.
Si lascia solo vuoto. Nessun messaggio. Nessun insegnamento.
Cosa ci resta? L’illusione della giovinezza eterna, il culto del successo, e l’agonia camuffata da vitalità.
Viviamo in una società mascherata, dove nessuno ha il coraggio di essere ciò che è.
Un carnevale senza fine.
Forse dovremmo fermarci. Guardarci. Accettare.
Riscoprire la bellezza di ogni stagione della vita.
Perché solo chi ha il coraggio di invecchiare, ha davvero imparato a vivere.

Le domande del guerriero silenzioso
Hai mai avuto il coraggio di non essere interessante? Di non piacere? Di non essere notato?
Quanto del tuo tempo lo spendi per capire chi sei, invece che per dimostrare chi vorresti sembrare?
Chi stai crescendo? Chi stai ispirando? Oppure… chi stai ignorando?
Cosa significa, per te, essere vivi? Avere energia… o avere presenza?
Cosa resterà di te, davvero, quando smetteranno di applaudire o di mettere like?
E se invecchiare non fosse perdere qualcosa… ma il momento in cui finalmente puoi smettere di fingere?
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