Mi alzo per andare al lavoro — schiavitù moderna, turni precari, ma lasciamo stare — e mi viene in mente che potrei passare prima da un negozio a sbrigare una commissione. Roba veloce, cinque minuti e via.
Il negozio in questione confina con una palestra. Quelle 24h, a basso costo, aperte sempre, anche quando l’universo dorme. Già qui qualcosa dovrebbe suonare strano, ma andiamo avanti.
Arrivo e bam — parcheggio pieno.
Mi chiedo: tutti dai cinesi? C’è un’apocalisse di pentole in offerta? Una promozione a base di plendi quattlo e paghi due.
Niente di tutto questo.
Alzo lo sguardo e li vedo: i tapiroulant della palestra in bella vista dietro una parete a vetro, occupati da una fila di umanoidi che sgambettano felici come criceti sulla ruota. Sorridono pure, beati. Lunedi mattina, ore 10.30. Lo ripeto perché il dettaglio non è banale. Teoricamente, dovrebbero essere tutti a lavorare. Ma no. Pare che il nuovo luogo di culto sia qui, tra bilancieri e luci al neon.
Davanti a me, un tizio con la tuta stretta come la coscienza di un banchiere. Tiene le braccia sollevate, larghe, in posa da “angelo steroideo”, con lo sguardo perso a metà tra l’epica greca e l’ultima serie di Netflix.
Seguo il suo sguardo e, sorpresa, finisce dritto sulle chiappe della dea moderna: alta, tatuata, fiera. In leggings e tacchi. Cammina come se stesse marciando su Fallujah.
Lui, l’alato, tenta un’espressione da figo cosmico. Lei lo ignora come un pop-up pubblicitario. Sfreccia via, stile Valentino al Mugello. Scena muta, zero punti per lui.
Resto lì, imbambolato, e mi chiedo:
Ma che succede?
Lunedì mattina, ore 10:30. Gente che corre sul posto, suda, si mostra, si gonfia.
Disoccupazione galoppante, under 30 smarriti, file al centro per l’impiego?
Macché. La fila vera è per la panca piana.
Lo so, sembra una generalizzazione. E lo è.
Ma sapete che vi dico? Lo è di proposito.
Perché quello che ho visto era reale, tangibile, surreale nella sua normalità. So che non si può generalizzare, che c’è chi lotta, chi fa, chi suda per campare davvero. Ma c’è anche chi si sbatte zero. Chi dorme il sonno beato del bicipite perfetto.
E non è la palestra il problema.
Non demonizzo il sudore, né il bilanciere.
Quello che mi ha dato fastidio è lo sguardo da Beverly Hills, la recita. L’idea che l’apparenza basti a fare sostanza. Che la vita sia solo superficie lucidata e braccia grosse.
C’è qualcuno — molto più sveglio di me — che una volta disse:
“Tu sei dove metti la tua attenzione.”
Ecco. A me pare che troppa attenzione sia lì. Sulle chiappe giuste, i tatuaggi alla moda, le pose da copertina.
Ma l’attenzione vera — quella profonda — quella è in saldo.
E nessuno la sta comprando.
Il Guerriero questa volta ha una sola domanda:
Viviamo in un’epoca di distrazioni curate esteticamente, mentre evadiamo problemi più profondi?
Se l’articolo ti risuona rispondi alla domanda ponine di nuove o respiraci su.
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