Ci sono emozioni che ci attraversano senza chiedere il permesso. Alcune le accogliamo, altre le temiamo.
La rabbia è tra le più scomode. Sporca, accesa, inarrestabile. Eppure, autentica. La rabbia spaventa perché è viva. Non finge. Non si nasconde dietro i sorrisi o le buone maniere. Arriva diretta, senza chiedere permesso. Per questo dà fastidio. Perché mette a nudo. Perché mostra che qualcosa non va, che un confine è stato superato, che una parte di noi non ci sta più ….zitta.
Il problema non è la rabbia, ma quello che ci hanno insegnato a farne. Ce l’hanno fatta temere, reprimere, negare. Come se sentirla fosse sbagliato, come se l’unica risposta “giusta” fosse il controllo, la calma apparente, il silenzio, un silenzio che qua non è benefico, non apre spazi nuovi, ma chiude , soffoca come un tappo su una pentola a pressione. Così ci siamo riempiti di tensioni, di parole non dette, di nodi alla gola. E quando poi esplodiamo, ci diciamo che è colpa nostra. Che avremmo dovuto gestirla meglio.
Ma la verità è che la rabbia non si gestisce. Si ascolta.
È un segnale. Un fuoco. Può bruciare tutto o può illuminare. Dipende da che uso ne facciamo. Se ci lasciamo portare via, ci distrugge. Se la ignoriamo, ci corrode. Se invece la guardiamo in faccia, se le chiediamo da dove vieni? cosa vuoi difendere?, allora smette di essere un nemico. E diventa forza.
Sotto la rabbia, spesso, c’è qualcosa di più fragile: dolore, ingiustizia, frustrazione. Lei urla per quello. Non per fare male, ma per farsi sentire. Per questo non va zittita, ma capita.
Un guerriero non è quello che non si arrabbia. È quello che sa riconoscere quando la rabbia ha qualcosa da dire. E non si fa travolgere, ma nemmeno si tira indietro.
La rabbia può essere veleno. Ma può anche essere carburante. A noi la scelta.

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