Viviamo immersi in un rumore costante. Non mi riferisco solo ai clacson, alla musica sparata nei locali o alle notifiche che ci martellano il telefono ogni dieci secondi. Mi riferisco al rumore mentale, emotivo, sociale. Quel frastuono di pensieri, aspettative, paragoni, desideri indotti e paure mascherate da razionalità. Quel continuo sottofondo che sembra non spegnersi mai, nemmeno quando tutto è in silenzio.
Quante volte ti è capitato di voler stare solo, ma non riuscire a restarci davvero? Ti ritrovi a scrollare il telefono, accendere qualcosa, parlare con qualcuno, fare qualsiasi cosa pur di non stare lì, da solo, con te stesso. Perché in quel silenzio, se riesci a resistere anche solo qualche minuto, arriva qualcosa. Una sensazione, un nodo, una verità scomoda che avevi messo a tacere.
Ecco il punto: non siamo mai soli, perché ci facciamo continuamente compagnia col rumore. È come se ci fosse una paura antica – e molto reale – di ascoltare ciò che siamo davvero. Di sentire i vuoti, i desideri repressi, le ferite non guarite, ma anche i talenti non espressi, la voce interiore, la verità che spinge per uscire. Perché sì, la verità non è un concetto astratto: è quel “sentire” che hai dentro, quel sapere profondo che non ha bisogno di spiegazioni. Ma per accedervi, devi attraversare il rumore.
Krishnamurti diceva: “Il silenzio non è qualcosa che si può coltivare; esso appare quando la mente comprende la sua stessa agitazione.”
E quella agitazione, quel casino mentale, non è colpa nostra. È un sistema intero costruito per impedirti di ascoltarti. Ogni messaggio pubblicitario, ogni modello di successo, ogni spinta al fare, all’arrivare, al migliorarti… è rumore travestito da progresso.
E attenzione: il rumore non è solo quello che ti distrae. A volte è anche quello che ti convince di essere sulla strada giusta, mentre in realtà ti stai solo allontanando da te stesso. Fare mille corsi, leggere cento libri di crescita personale, cercare maestri fuori da te… sono attività che sembrano “spirituali”, ma se diventano compulsive, sono solo un altro strato di rumore.
Il silenzio interiore non è pace da cartolina. È scomodo all’inizio. Fa emergere l’irrisolto. Ma è lì, proprio lì, che si comincia a sentire la propria voce autentica. Quella che non urla, non chiede approvazione, non si misura col mondo. Quella voce che non ha bisogno di motivazioni: esiste e basta.
Per questo dico che il rumore ci separa da noi stessi. Perché ci impedisce di stare. Di osservare. Di sentire. Di lasciare che qualcosa emerga senza forzarlo. E finché non impariamo a spegnere almeno una parte di quel rumore, continuiamo a vivere una vita che somiglia alla nostra, ma non lo è davvero.
Non servono ritiri nel deserto per ritrovare il silenzio. Serve una scelta. Dieci minuti al giorno. Chiudi tutto. Non meditare, non visualizzare, non aspettarti niente. Siediti. Respira. E ascolta. Quel fastidio che senti all’inizio? È solo il rumore che si arrende. Sta cedendo il posto a te.
E tu? Riesci ad ascoltarti davvero, senza rumore?
Hai mai provato quel silenzio che all’inizio fa paura, ma poi ti fa sentire più vero?
Se ti va, racconta la tua esperienza nei commenti:
cosa ti distrae da te stesso? E quando sei riuscito a sentirti, davvero?
Parlarne insieme è già un primo passo per fare silenzio dove serve.

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