Vivere vs Capire la spiritualità


Prima di iniziare a leggere, rispondi a queste due domande:

  1. Qual è l’azione più vitale, immediata e indispensabile che stai compiendo in questo momento?
    (Suggerimento: se sbagli risposta, potresti aver già smesso di farla)
  2. Ora che hai capito che stai respirando…
    Quanto ti interessa sapere:
    • I processi biochimici degli scambi gassosi?
    • La fisica della pressione diaframmatica?
    • Il significato filosofico del tuo respiro?

…oppure, te ne frega zero e continui semplicemente e spontaneamente a respirare?


Ecco, lo stesso vale per la spiritualità.
Viverla è semplice come respirare: naturale, spontanea, inevitabile. Capirla e spiegarla? Un po’ come analizzare il respiro con un manuale di biochimica: interessante, a volte utile, ma decisamente meno vitale dell’atto stesso di respirare. In fondo, ciò che ci tiene vivi non è capirla, la vita. È viverla.

Se pensate che leggere pile di libri, collezionare corsi e diventare esperti di tutto significhi “essere sul cammino spirituale”… beh, rischiate una piccola (o grande) illusione.

Intendiamoci: leggere, studiare, seguire corsi può far parte del cammino — se sentite che fa parte della vostra via. Ma attenzione: non è il cammino.

Il cammino vero? È lì, proprio dove meno ve lo aspettate: nella vita di tutti i giorni, nelle decisioni che prendete quando nessuno guarda, in quello che emerge dai vostri silenzi, in ciò che affiora spontaneamente (sì, spontaneamente, non dopo tre ore di meditazione forzata e yoga contorsionista).

Quando lo studio nasce dal cuore, senza forzature, allora sì: anche leggere un libro può diventare parte del cammino. Ma non è il contenuto ad essere spirituale — non illudiamoci — è il modo in cui ci arrivate, quel “sentire” che proprio quel passo lì è il vostro.

Allora, serve studiare nel cammino spirituale? Una domanda onesta: “Quindi leggere, fare corsi, ascoltare podcast con titoli cosmici… è inutile?”

Risposta: no, non è inutile. Tutto può servire. Anche una sitcom può insegnare più di un ritiro di tre giorni in silenzio, se la guardate con gli occhi giusti.

Lo studio è utilissimo, specialmente all’inizio, quando si ha bisogno di qualche mappa prima di mettersi in viaggio. È come preparare una vacanza: si sfogliano guide, si guardano foto, si leggono recensioni… ma se poi non partite mai, non vale granché, no?

Così è la spiritualità: leggere, informarsi, esplorare stimola, accende intuizioni… ma il cammino vero comincia quando si chiude il libro e si apre la porta. Quando si cammina, si inciampa, si cambia idea. Si vive.

E qui arriva il bello: la vera forza del cammino spirituale — se vogliamo usare questo termine altisonante — non sta nel seguire ricette spirituali preconfezionate o fare tutto come “l’ha detto il maestro XY”. Sta nella consapevolezza che, sorpresa sorpresa, siamo già sul cammino. Anche se spesso non ce ne accorgiamo. Anche quando stiamo solo lavando i piatti.

Non serve essere guru, iniziati o collezionisti di incensi pregiati. Ogni essere umano è già in viaggio. La differenza? Alcuni se ne rendono conto, altri no.

Il vero tabù da sfatare è questo mito della spiritualità come roba esclusiva per pochi eletti che parlano solo per metafore e indossano tuniche. No, la spiritualità è per tutti. Perché tutti viviamo, tutti respiriamo, tutti ci facciamo domande (anche se le evitiamo con un po’ di Netflix).

E allora torniamo a due parole chiave: respiro e silenzio. Non sono accessori zen da salotto. Sono strumenti potenti per guardarci dentro, capire dove siamo e — se il posto non ci piace — decidere se cambiare rotta.

Sì, si può cambiare. Sempre. Il cammino spirituale non è una linea dritta fatta di “giusto” o “sbagliato”. È più simile a un sentiero di montagna: curve, salite, panorami mozzafiato e, a volte, qualche buca.

Ogni scelta, ogni percezione, ogni passo contribuisce a disegnare il nostro cammino. E sapete qual è la buona notizia? Non serve fare tutto bene. Serve solo essere disposti ad ascoltarsi e, ogni tanto, fare marcia indietro o prendere una nuova direzione.

In fondo, la vera forza di questo cammino è nella sua apertura. Non serve essere santi, illuminati o vegani crudisti: basta essere umani. E avere il coraggio di riconoscere che ogni passo, anche quello incerto, è parte del viaggio.

Perché alla fine, non conta tanto dove stiamo andando. Conta se sappiamo dove siamo. E se siamo pronti, quando serve, a cambiare strada con il sorriso.


Se quello che hai letto ti risuona, lasci un commento o respiraci su.


Tags:


Comments

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *