Come ogni anno, all’esplodere della primavera, sanguino. Non so perché. Non è sempre stato così. Ma da un po’ di tempo, sì: sanguino.
Forse perché in questo periodo i sensi si fanno più acuti.
Soprattutto l’olfatto: percepisce ogni sfumatura.
E sente odore. Un odore sudicio.
Ovunque. Persistente.
Scrivo spesso di quanto il sistema sia corrotto, ingannevole.
Ma in primavera capisco davvero che non è solo fuori di noi.
È dentro.
Siamo noi.
Ci comportiamo proprio come il sistema che critichiamo.
Diciamo di voler bene.
Ci definiamo amici, vicini, comunità.
Ma quando c’è bisogno di aiutare, di aiutare sul serio, ci blocchiamo.
Soprattutto se si tratta di soldi.
Quelli no.
Puoi anche cadere a pezzi, ma il mio stile di vita non si tocca.
Nemmeno per un amico.
Nemmeno per uno della cerchia.
Uno che magari vedi ogni giorno.
Uno i cui figli vanno a scuola con i tuoi.
Uno con cui hai condiviso sorrisi, cene, chiacchiere.
Ma se un giorno cade… sparisce tutto.
Spariamo tutti.
E non è sempre cattiveria.
È più sottile.
È l’effetto di un pensiero che non ci appartiene davvero, ma che abbiamo interiorizzato:
“Ognuno per sé.”
Perché chi fa da sé fa per tre.
Giusto?
Ed è questa l’illusione che ha vinto.
La vittoria della paura.
La vittoria del distacco.
Viviamo chiusi dentro piccoli mondi personali, convinti di essere liberi, mentre ripetiamo schemi che ci sono stati cuciti addosso.
Ci sentiamo soli, ma non partecipiamo.
Vediamo il bisogno, ma non ci muoviamo.
E intanto, con leggerezza, pronunciamo parole grandi: amore, amicizia, fratellanza.
Ma l’amore, se non sa rinunciare a nulla, se non si fa carico dell’altro,
non è amore.
È solo forma.
Una parola svuotata.
Il sistema siamo noi, ogni volta che scegliamo di non esserci davvero.
Ogni volta che non tendiamo la mano, nemmeno a chi ci è accanto.

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