Mentre la nostra attenzione era catalizzata dalla solita soap mainstrem, tra balletti geopolitici, papastory in american style e giro d’Italia in Albania, il Consiglio dei Ministri zitto zitto, ha piazzato due chicche mica da niente.
Responsabilità erariale? Solo se lo fai apposta, e col sorriso.
Era il lontano luglio 2020, mentre gli italiani erano impegnati a sorseggiare spritz sotto l’ombrellone e a farsi il bagno al mare, il governo varava un decreto-legge sulla responsabilità erariale. Ma cosa diceva questo decreto? L’articolo 21, comma 2, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, stabilisce che, per i fatti commessi dalla data di entrata in vigore del decreto e fino al 30 aprile 2025, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è limitata ai casi in cui il danno sia stato causato con dolo, ovvero quando la produzione del danno è stata dolosamente voluta dal soggetto agente. Tuttavia, questa limitazione non si applica ai danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente.
Tradotto, se un funzionario pubblico fa danni con i soldi di tutti, dovrebbe forse rendere conto. Ma calma, solo se li ha fatti con dolo, cioè volutamente. Perché in fondo, dai, chi non ha mai sbagliato una gara d’appalto da qualche milione di euro per “disattenzione”? Chi non ha mai dimenticato di vigilare su un ponte che poi è crollato? Sono cose che capitano. Omissione? Inerzia? Roba da mortali. Il decreto dice: “Non c’è dolo? E allora che pretendi, la responsabilità?” E non solo: la scadenza originaria, che limitava questa regola fino al 30 aprile 2025, viene gentilmente prorogata al 31 dicembre. Perché si sa, l’irresponsabilità ha bisogno dei suoi tempi tecnici, soprattutto sotto Natale. E nel frattempo? Si applica pure ai fatti commessi nel limbo temporale tra la scadenza e l’entrata in vigore. Un colpo di bacchetta magica in pieno stile Hogwarts, ma senza la magia: il danno c’è, ma il dolo no, quindi… amici come prima.
E poi c’è quella domanda che aleggia nei bar, nelle chat, nei corridoi degli uffici postali:
“Ma dove finisce la colpa e inizia il dolo?” Eh già. Perché se sbagli un versamento, non importa se era un errore in buona fede: paghi.
Se invece sei un dirigente che ha “omesso, tralasciato, dormito, ignorato” e hai causato un danno erariale? Tranquillo, basta che non lo volevi proprio proprio fare. Allora niente dolo, niente responsabilità.
La linea è sottile, sfumata… diciamo mobile, come i confini del potere.
In pratica, la responsabilità è una scala a pioli, ma si sale solo se stai in basso. Più sali, più diventa una rampa liscia. E se cadi? C’è sempre un decreto che ti mette il materasso sotto.
Mentre il potere si blinda, noi compiliamo moduli: la nuova ballata della fiscalità semplificata”
Benvenuti nell’ultima stagione del grande show chiamato “Semplificazione fiscale”, dove tutto cambia per non cambiare niente e ogni promessa ha lo stesso sapore di un modulo telematico da stampare tre volte in formato PDF/A.
Con un colpo di teatro degno di un prestigiatore di provincia, il governo annuncia: “Più autonomia agli enti territoriali! Più premi per chi paga! Più recupero dell’evasione!” Applausi. Sipario. E mentre in platea il contribuente medio pensa di aver sentito qualcosa di buono, ecco che la scena si illumina e mostra la vera trama: più responsabilità per chi ha meno strumenti, e più potere per chi già comanda il banco.
Certo, ci dicono: “Premiamo chi paga con l’addebito diretto!” E intanto chi è in difficoltà, chi magari lotta con il POS che non funziona o ha saltato una rata della TARI, viene coccolato con un bel accertamento esecutivo – che non è una punizione, eh, è solo che si accelera la riscossione. Come dire: “non vogliamo sembrare minacciosi, ma se puoi pagare oggi, perché aspettare domani?”
Poi arriva la parte migliore. Si semplifica la gestione dell’IMU. Tutto in un bel modello unico telematico. Finalmente! Così semplice che per capirlo devi farti un corso in fiscalità, una laurea in informatica e una laurea ad honorem in pazienza zen. Però dai, niente paura: le sanzioni saranno “più proporzionate”. Proporzionate a cosa, però, resta un mistero degno di una loggia massonica.
Nel frattempo, mentre i comuni più svegli iniziano a fiutare il business del recupero delle somme evase (con incentivo al 100%, mica bruscolini), quelli più piccoli e già con l’acqua alla gola si preparano a diventare esattori improvvisati, senza mezzi e con più burocrazia addosso di prima. L’autonomia fiscale, insomma, funziona come l’autonomia scolastica: bella sulla carta, un incubo quando manca la carta igienica.
E le province? Quelle che avevamo abolito ma sono tornate sotto mentite spoglie? Premiate anche loro! Basta con quelle fastidiose domiciliazioni fiscali in capo alle sedi legali: il gettito dell’imposta andrà dove si fa “attività concreta”. Tradotto: chi ha più aziende sul territorio incassa di più. Chi ha solo problemi? Si arrangi.
E lo Stato? Lo Stato si blinda, si fa snello solo nei titoli dei decreti, e scarica verso il basso tutto ciò che può.
Insomma, mentre i cittadini si beccano modelli unificati, accertamenti esecutivi, addebiti diretti e premi solo se obbedienti, dall’altra parte si distribuiscono guanti bianchi e salvacondotti. Perché si sa: chi sbaglia in alto non paga. Al massimo, si rinnova.
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