Fonte: Agenzia di stampa 9Colonne
Oggi, nel mare magnum degli Zeru Tituli dell’informazione della penisola italica, questa notizia ha attirato l’attenzione del guerriero.
Il Ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, ha annunciato una serie di novità nel sistema scolastico italiano:
- Educazione sessuale: Introdotto un disegno di legge che prevede corsi extracurricolari sull’educazione alla sessualità, con l’obbligo per le scuole di ottenere il consenso scritto dei genitori. I corsi dovranno essere tenuti da professionisti qualificati, e per le scuole dell’infanzia e primarie i temi saranno limitati a quelli previsti dai programmi nazionali.
- Tutela dei docenti: Modifiche al Codice Penale per prevedere l’arresto obbligatorio in flagranza o quasi flagranza nei casi di lesioni personali a docenti e dirigenti scolastici, escludendo i minori. Le pene per lesioni lievi passano da 6 mesi-3 anni a 2-5 anni di reclusione.
- Valutazione e sospensioni: Con un voto di 5 in condotta si viene bocciati; con 6 si è rimandati a settembre, con l’obbligo di presentare un elaborato critico sui temi valoriali connessi al comportamento. Le sospensioni prevedono attività scolastiche alternative.
L’Educazione sessuale “extracurricolare”, opzionale e parental-friendly
Tradotto: si fa, ma solo se mamma e papà hanno firmato il permesso come per la gita alle saline.
Nel 2025, l’educazione sessuale in Italia è diventata un optional. La scuola può parlarne… ma solo se mamma e papà sono d’accordo. Un’idea geniale: i ragazzi crescono in una società dove la sessualità è ovunque, sbattuta in faccia h24, ma il luogo dove si potrebbe affrontare con razionalità, ascolto e spirito critico — cioè la scuola — si autocensura per non urtare le sensibilità del focolare domestico, che magari intanto brucia nel caos.
È un paradosso che grida vendetta: si protegge l’adolescente non dal bombardamento visivo e ideologico, ma dal tentativo di decifrarlo. Si preferisce il silenzio, l’omertà, la delega totale agli algoritmi e agli influencer. E tutto questo in nome della sacra famiglia… che nel frattempo non è più nemmeno quella del Mulino Bianco, ma un mosaico spesso confuso, liquido, e in cerca di senso.
I ragazzi vedono gay pride, account porno su Instagram, provocazioni visive, influencer che spiegano sesso e identità come fossero tutorial di trucco. E la risposta qual è? “Meglio che a scuola non ne parliamo, che poi il genitore si offende”.
Il professore? Zitto, che è meglio.
E chi dovrebbe aiutare questi ragazzi a capire cosa sta succedendo dentro e fuori di loro? Un docente che se prova a fare una riflessione si becca una denuncia per “contenuto ideologico”? O un esperto certificato con un micro-corso online e il bollino del politicamente corretto?
Non si chiede un’educazione “di Stato” imposta, ma uno spazio reale di confronto, dove i ragazzi possano porre domande, ascoltare punti di vista diversi e imparare a costruire pensiero critico.
Ma invece no: il rischio è che a scuola arrivino solo due “formati”:
- La versione TikTok — sesso come performance, identità come accessorio.
- La versione edulcorata-ufficiale, che insegna a “rispettare tutti” ma senza mai mettere in discussione i dogmi del momento.
La finta tutela, la vera rinuncia
Dire che serve il consenso dei genitori per parlare di sessualità non è protezione. È resa totale della scuola. È rinunciare alla sua funzione educativa per non disturbare nessuno, per non scalfire convinzioni familiari già in crisi e lasciare di fatto campo libero alla social-school.
È dire: “Noi adulti non ce la sentiamo. Arrangiatevi voi, ragazzi, tra TikTok, OnlyFans e silenzi imbarazzati”.
Ma se non è la scuola a insegnare a pensare, chi lo farà?
I docenti? Blindiamoli
Quella che dovrebbe essere una rete educativa tra scuola e famiglia viene completamente ribaltata: al posto di ponti, si costruiscono muri con sbarre.
Il nuovo provvedimento che inasprisce le pene per le aggressioni ai docenti “da parte dei genitori “escludendo i minori” (notate la sottigliezza espressiva… e chiamateli per nome!!!!: Genitori 1 e 2, insomma non si salva nessuno) non è altro che un pezzo in più dello stesso disegno: rendere la scuola una fortezza assediata, popolata da docenti in stato di allerta, famiglie nemiche, studenti sorvegliati speciali.
Sì, esistono casi gravi, ma la risposta è tutta muscolare: non si capisce, non si indaga, si punisce.
Come se la rabbia, le tensioni, la frustrazione che a volte esplodono nei rapporti scuola-famiglia non fossero segnali di un sistema che non ascolta.
E infatti:
- I colloqui scuola-famiglia si fanno sempre più speso online,
- gli incontri reali si riducono,
- l’empatia è delegata a comunicazioni via registro elettronico,
- e quando succede il patatrac… repressione.
Come se servisse uno psicologo con la pistola, non un’educazione alla relazione.
È il solito film all’italiana: si arriva tardi, si interviene male, e si fa finta che tutto sia sotto controllo. Solo che stavolta, al centro, ci sono le nuove generazioni, educate in un clima di paura e diffidenza.
5 in condotta? BOCCIATO
A completare il tutto un bel colpo di teatro finale: il famigerato “5 in condotta” che non è più un segnale d’allarme, ma una ghigliottina pedagogica. Niente ascolto, niente recupero, niente percorsi personalizzati. Hai sbagliato? Bocciato. Sei stato abbastanza cattivo? Allora “lavori forzati educativi”, come se pulire l’aula sotto l’occhio dell’autorità fosse una catarsi morale.
Nel frattempo il “vero cattivo” – quello col 5 secco – è già al mare con lo spritz, mentre lo sfigato col 6 in condotta rifà la segnaletica orizzontale nel parcheggio della scuola.
Altro che educazione alla responsabilità: qui si fa teatro della punizione, una messa in scena della disciplina che serve più a placare l’opinione pubblica (e i talk show) che a formare individui. È l’autoritarismo educativo da discount, quello che sostituisce la relazione con il castigo, la complessità con la lista delle pene accessorie.
Le domande del guerriero silenzioso:
Se davvero la scuola deve formare cittadini consapevoli, perché continuiamo a trattare gli studenti come contenitori da riempire e i docenti come soldati da proteggere invece che guide da ascoltare?
Quante delle norme che ci vengono vendute come “tutela” servono davvero a risolvere problemi e quante, invece, a lavarsene le mani scaricando ogni responsabilità sul prossimo anello debole della catena?
In un mondo dove i ragazzi imparano più da TikTok che dai libri, ha senso censurare il dialogo in aula oppure stiamo semplicemente lasciando campo libero alla disinformazione travestita da intrattenimento?
Se l’articolo ti risuona rispondi alle domande, ponine di nuove o semplicemente …. respira
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