LA STORIA DEI POPOLI? NO, QUELLA DEI LORO PADRONI


Ahhh, la storia. Quella bella narrazione che ci fanno studiare, più o meno a memoria, da quando iniziamo la scuola. Si parte con la preistoria, con il bambino Gugu e la sua clava all’età della pietra, e si finisce con le epiche battaglie dei millenni successivi fino ai giorni nostri. Mammut, velociraptor, condottieri, tiranni, eroi, mostri. Una saga infinita che nemmeno Netflix.

Ma siamo sicuri che sia davvero “la storia dei popoli”? O è la storia di chi quei popoli li ha comandati, sfruttati, imbavagliati, mandati al massacro – e poi scritta dai vincitori?

La verità, se vogliamo dirla tutta, è che troppo spesso leggiamo la storia come se fosse stata una scelta collettiva: “L’Italia dichiara guerra alla Francia”, e il nostro cervello associa automaticamente: “gli italiani hanno dichiarato guerra ai francesi”. Ma chi, esattamente? Nonno Peppino che coltivava pomodori? Zia Carmela che faceva il bucato al fiume?

No. L’ha fatto un governo. Un regime. Un manipolo di individui che, con la complicità del manganello, ha preso decisioni per milioni.

E anche nella modernità, signore e signori, non è che le cose siano cambiate molto. I governi, anche quelli eletti “democraticamente”, spesso rispondono non al popolo, ma a interessi ben più alti: lobby, potentati economici, multinazionali, organismi sovranazionali che nessuno ha mai votato.

La democrazia? Una meravigliosa trovata. Soprattutto per chi ha bisogno che tu ti senta libero mentre continui a fare esattamente ciò che decidono loro. E tu ci credi pure, perché per averla hai anche combattuto, protestato, magari perfino rischiato la pelle. In realtà la democrazia è come una bella scatola dorata: fuori ci trovi scritte parole altissime – libertà, rappresentanza, sovranità – ma dentro, con grande cura e furbizia, l’hanno riempita i potenti , diretti discendenti di quelle antiche aristocrazie che non sono scomparse, si sono solo messe il vestito buono e ora ti vendono l’illusione del comando, mentre decidono tutto loro, dietro le quinte.

Ora, qualcuno dirà: “Ma anche se la narrazione è sbagliata, i fatti sono quelli. Cambia poco”. E invece no. Cambia tutto.

Perché se capiamo che la storia non è stata fatta dai popoli ma subita dai popoli, cambia anche il nostro modo di vedere noi stessi.

Non siamo un popolo colpevole. Siamo un popolo che ha pagato le colpe di altri. Le guerre mondiali, le alleanze infami, i debiti esteri, le basi militari, lo spread che ci terrorizza più del film dell’Esorcista.

E no, non dobbiamo niente a nessuno. Riconoscenza sì, schiavitù no. Se mi liberi da una prigione non diventi il mio nuovo carceriere. Al massimo ti offro una pizza.

Oggi sentiamo parlare di popoli “liberi”, di democrazie da difendere, ma intanto i governi (i potenti) si armano fino ai denti, con i soldi nostri, per partecipare a guerre che nessuno ha deciso davvero, se non in qualche palazzo pieno di cravatte e pochissimo ossigeno.

Guardiamo ad esempio la guerra in Iraq del 2003: ci dissero che Saddam Hussein aveva armi di distruzione di massa pronte a cancellare il mondo in due minuti. In realtà, non c’era nulla. Una gigantesca balla venduta con i media come imbonitori da televendita. E milioni di iracheni hanno pagato – con la vita – una guerra per il petrolio e per interessi geopolitici. Ma la narrativa era: “liberiamo il popolo iracheno”. Certo, a suon di bombe. Liberi e anche polverizzati.

Oppure la guerra in Vietnam: raccontata come un’eroica crociata contro il comunismo. Ma chi la voleva davvero? Il popolo americano? No. Il popolo vietnamita? Men che meno. Eppure, milioni di morti ma la propaganda era salva. Gli Stati Uniti (governo) “avevano fatto il possibile per difendere la libertà”. Dimenticando di dire che la libertà, nel frattempo, era esplosa insieme ai villaggi.

E che dire dell’Afghanistan? Prima invaso dai sovietici (governo), poi “liberato” dagli americani (governo). Alla fine? Ancora una volta, milioni di persone lasciate senza nulla, dopo vent’anni di occupazione travestita da esportazione della democrazia. Se i talebani tornano al potere nel giro di una notte, forse qualcosa non ha funzionato, eh.

E questa tecnica non è affatto nuova. Torniamo indietro: alla conquista delle Americhe. Ti immagini se andavano dal contadino spagnolo a dire: “Ehi Paco, ti porto via un po’ di grano e qualche mulo, devo andare a sterminare milioni di nativi americani, rubargli l’oro, bruciare qualche civiltà… ma tranquillo, è tutto per portare la civiltà e la croce!”. Avrebbe risposto: “Ma portaci il prosciutto, no?”

Tutto questo ci insegna una cosa sola: la storia va riscritta. Non nei fatti – quelli restano – ma nel linguaggio.

Non “l’Italia dichiarò guerra”, ma “il governo fascista impose la guerra”.

Non “gli spagnoli conquistarono le Americhe”, ma “l’élite monarchica e militare spagnola sterminò e sottomise i popoli indigeni con l’inganno e la violenza, mentre il popolo spagnolo… continuava a cercare di non morire di fame”.

Non “l’America ha difeso la democrazia in Vietnam”, ma “l’élite politica e militare statunitense ha mandato a morire migliaia di giovani per mantenere un’egemonia globale”.

E così via. Le parole sono importanti. Perché dietro le parole ci sono le idee. E dietro le idee ci sono le azioni.

Allora, quando qualcuno vi dice che un altro popolo è il nemico, pensateci bene.

Perché le masse, quando non vengono manipolate, sono pacifiche. I popoli non vogliono la guerra. I governi – e chi li muove – spesso sì.

I POPOLI NON SI ODIANO MA I POTENTI HANNO BISOGNO CHE LO CREDI.

Se lasciati in pace, russi e ucraini bevono vodka insieme, italiani e francesi si scambiano ricette, americani e cinesi comprano le stesse cagate su Amazon.

La guerra è un business.
La storia è un manuale di propaganda.
E noi siamo stanchi di farci raccontare balle.

MORALE?
La prossima volta che senti “il popolo ha deciso”, chiediti:
“Io, cavolo, quando?”

E questa è la storia che dobbiamo iniziare a raccontare. Magari con un po’ di ironia, sì, ma anche con quella voglia matta di verità che ogni popolo – prima o poi – si merita.


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