La politica oggi è diventata una specie di carnevale permanente, uno spettacolo grottesco dove ognuno indossa la maschera che tira di più: c’è quello che urla, quello che insulta, quello che fa l’esperto su tutto, e naturalmente quello che si crede un leader solo perché ha imparato a parlare in slogan. È. È così, inutile girarci intorno.
Il problema è che ci siamo abituati. Ci siamo abituati a pensare che la politica sia fatta così, con la gente che si insulta in televisione, i meme che sostituiscono i programmi, le battute che affondano più dei ragionamenti. La politica è diventata un’arte da social, dove conta la reazione, non la riflessione. L’importante è fare rumore. Il contenuto? Secondario. Il rispetto? Un optional.
E invece dovrebbe essere una cosa seria. Anzi: serissima. Una cosa in cui non si ride molto, perché c’è poco da ridere quando ci sono milioni di persone che non arrivano a fine mese, ospedali che crollano, scuole che cadono a pezzi e territori che affogano, letteralmente e metaforicamente. La politica dovrebbe essere il luogo dove si cercano soluzioni, non dove si vincono sondaggi.
Chi fa politica, se la prende sul serio, non lo fa per diventare famoso o per avere un talk show personale: lo fa per servire. Lo fa per ascoltare, per capire, per trovare una strada comune. Non per vincere una gara di urla. Lo fa perché sente una missione. E quando senti una missione, non vai in televisione a ridicolizzare chi ha poche idee, pochi voti o pochi soldi. Ti ci siedi davanti e provi a capirlo. Magari alla fine non sei d’accordo lo stesso, ma almeno lo hai guardato in faccia. E questo è già rispetto. Già politica.
Invece oggi no. Oggi chi ha pochi voti viene preso in giro. “Non sei nessuno”, “non conti nulla”, “non sei un leader”. Perché? Perché non hai lo stesso budget di marketing? Perché non hai 300.000 follower? Ma davvero stiamo affidando la qualità della politica al numero di clic? Se non hai visibilità sei un coglione, se non hai finanziatori sei un sognatore, se non sei in televisione sei irrilevante. È. È così, purtroppo.
Ma dovrebbe essere un’altra cosa. I partiti dovrebbero essere fucine di idee, non baracconi da tifoseria. Dovrebbero essere luoghi di confronto, non arene da gladiatori. Dovrebbero partire dal basso, non dalla cima. Non “per partito preso”, ma come “punto di partenza”. Dovrebbero raccogliere i bisogni di chi non ha voce e trasformarli in proposte, in leggi, in visioni. Dovrebbero ascoltare chi è fragile, non solo chi è utile.
E a proposito di utilità: i soldi in politica andrebbero banditi. Tutti. Niente finanziamenti pubblici, niente fondi privati, niente bonifici in campagna elettorale. Chi vuole fare politica lo fa a mani nude. Con la voce, con le idee, con il tempo che ha. Come? “Ma allora solo i ricchi possono permetterselo”. No: è il contrario. Solo chi è mosso da passione vera potrà farlo. E chi vuole davvero aiutare la collettività lo farà anche dormendo quattro ore per notte, senza indennità parlamentare. Perché sarà una missione. E quando hai una missione, trovi le energie. Chi non le trova, non era pronto.
“Eh ma poi li finanziano a nero”. Certo. Per questo serve trasparenza totale e canali ufficiali unici per il dibattito. Ogni partito ha gli stessi minuti, gli stessi spazi, gli stessi strumenti. Un canale istituzionale, dove si parla per contenuti, non per interruzioni. Non ci sono interviste confezionate, non c’è l’amico giornalista, non c’è il momento social da tagliare e rilanciare. Solo confronto pulito. Solo politica, finalmente.
È un’utopia? No. È fattibile. Domani. I mezzi ci sono: tecnologia, piattaforme pubbliche, strumenti di tracciabilità, volontà diffusa. Manca solo una cosa: la consapevolezza che questo sistema è marcio e ci sta ingoiando tutti. Manca la voglia di cambiare davvero, non a parole, ma nei fatti. E soprattutto, manca il coraggio di ammettere che no, Trump non ci capirà mai, lui che guadagna in un giorno più di quanto una famiglia media viva in due anni. Che Meloni non è “una di noi”, ma una professionista della politica cresciuta nei partiti da quando era adolescente. Che “i rappresentanti del popolo” spesso non sentono più nemmeno l’odore del popolo, figurarsi il dolore.
E allora basta illusioni. Basta spettacolo. Basta insulti camuffati da satira. Basta partiti come fan club. È il momento di tornare alla politica vera, quella sporca di realtà, quella fatta di ascolto, di ragionamento, di responsabilità. Quella in cui si vince non con i click, ma con l’onestà.
E se non succede? Se continuiamo così? Se va avanti questo show a puntate? Beh, allora non è più politica. È solo potere che fa finta di essere nostro amico e fa spettacolo.
E noi, come sempre, a pagare il biglietto.

Lascia un commento