Non si può usare un termine diverso. La chiamano diplomazia, la chiamano strategia, difesa, equilibrio geopolitico. Ma è solo mattanza.
A morire non sono mai loro. Non sono i figli dei politici, degli industriali, dei generali. Non sono i figli degli amici degli amici. A morire siamo noi. I nostri figli. Quelli che devono partire. Quelli che vengono colpiti. Quelli che pagano le scelte altrui con la pelle, con la fame, con l’anima.
Siamo governati da persone che hanno perso ogni traccia di umanità. Che si nascondono dietro bandiere, parole vuote, discorsi scritti da altri, mentre firmano decreti che ammazzano popoli interi. Li chiamano “interventi mirati”, “azioni necessarie”, “missioni di pace”. Tutta merda profumata per renderla digeribile.
La verità è che la guerra è un affare. È denaro che scorre, è potere che si rafforza. È uno show sporco che si consuma sulle nostre schiene, mentre ci tengono occupati con i saldi, con lo sport, con gli scandali finti.
E allora basta. Basta davvero.
Basta ascoltarli, basta dargli credito, basta votarli solo perché “non c’è alternativa”. L’alternativa la costruiamo noi. Ma serve coraggio, e serve rabbia. Una rabbia sana, che non diventa odio, ma carburante.
Spegniamo le loro voci. Accendiamo le nostre. Nei bar, nei gruppi, nei quartieri, nei blog. Rompiamo il silenzio complice. E se possiamo, disobbediamo. Con coscienza. Con lucidità. Con l’unica forza che ci è rimasta: quella di non accettare più.
Perché se non reagiamo ora, non resterà nulla da difendere.

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