Chi finge di non vedere, può anche smettere di leggere qui.
Scrivo spinto dal disgusto. Uno di quelli che ti sale da dentro e non se ne va. Non si dissolve. Non si placa. Da mesi assistiamo a un genocidio. Un massacro reale, spietato, crudele, documentato. Le immagini ci scorrono davanti agli occhi ogni giorno: sangue, macerie, urla, corpi. Corpi veri, non scene da film. Ma la reazione? Silenzio. Tiepidezza. Equilibrismi verbali.
E ora, all’improvviso, eccoli tutti. I professionisti della compassione ritardata. I pacifisti da prima pagina. Gli indignati a tempo determinato. Politici, artisti, influencer , tutti con le lacrime fresche e le mani pulite. Gente che fino a ieri difendeva l’indifendibile con silenzi densi come cemento. Ora parlano. Ma non per amore della verità. Parlano perché è diventato sicuro. Perché ormai non rischiano più nulla. Parlano perché non farlo è peggio per l’immagine.
E questa è la cosa che mi ammazza più di tutto: l’ipocrisia sistemica. I morti contano solo quando servono. Il dolore vale solo se può essere trasformato in contenuto. La giustizia solo se porta consenso. Tutto è calcolato. Tutto è strategia. Anche il pianto.
Viviamo in un mondo che ha reso la morale un accessorio da indossare quando conviene. Dove l’etica si misura in click, e la verità è solo una questione di branding. Parlare davvero, oggi, non è più rischioso. È raro. Perché serve coraggio. Serve stomaco. E soprattutto: serve fregarsene di piacere.
Io non voglio piacere. Non scrivo per addolcire. Scrivo per dire quello che in troppi pensano e in pochi osano. Che siamo asfaltati dentro.
Non da oggi. Da molto prima.
Asfaltati dal genere umano. Da un’umanità che ha perso ogni traccia di umanità. Ci siamo piegati all’apparenza, al profitto, alla vetrina. Abbiamo smesso di sentire, e abbiamo iniziato a replicare. Siamo diventati specchi sporchi, incapaci di riflettere qualcosa di autentico.
Viviamo per galleggiare in superficie, lontani da ogni profondità, da ogni vero sentire. Fingiamo di essere vivi ma siamo solo connessi. Parliamo di amore, ma abbiamo smarrito l’empatia. Parliamo di libertà, ma non sappiamo più scegliere senza approvazione. Parliamo di giustizia, ma solo se non ci costa troppo. Parliamo. Sempre. Ma non ascoltiamo più.
E chi comanda tutto questo non è stupido. È strategico. Ha capito che il modo migliore per tenere in piedi il sistema è renderci complici inconsapevoli. E ci è riuscito. Ci ha trasformati in automi che si sentono liberi. In consumatori che si credono cittadini. In spettatori del male, ma con la coscienza pulita, perché abbiamo messo la reaction giusta sotto il post giusto.
I padroni del nulla stanno bene. Hanno già vinto. Perché controllano non solo le armi e i soldi, ma le narrazioni. Decidono chi è la vittima e chi è il carnefice. Chi merita empatia e chi disprezzo. Hanno comprato i microfoni, le telecamere, le parole. E ora anche le emozioni.
Nel frattempo, chi sta più in basso è già stato spazzato via. Non solo fisicamente. Ma culturalmente, mediaticamente, esistenzialmente. Vite cancellate, dolori derubricati, popoli etichettati come errori di sistema. Chi muore oggi non interessa più. A meno che non sia “utile”. A meno che non possiamo trasformarlo in un momento da condividere con un filtro.
La verità, se fa male, viene censurata. Se è scomoda, viene ridotta a rumore. Se è troppo potente, viene ignorata.
E intanto noi?
Respiriamo ancora, ma non viviamo più.
Siamo stanchi, vuoti, spenti. Ci hanno riempito di parole, di opinioni, di notifiche, ma ci hanno svuotato dentro. Nessuno sa più perché fa quello che fa. Ci muoviamo per imitazione, per inerzia, per disperazione non detta. E chi ancora sente qualcosa viene zittito, ridicolizzato, isolato. Perché sentire ,oggi, è un atto sovversivo.
Eppure qualcuno sotto l’asfalto respira ancora.
Qualcuno che non ci sta. Qualcuno che non riesce più a tacere. Qualcuno che preferisce perdere tutto piuttosto che farsi complice. Qualcuno che sa che le parole contano, anche quando non portano applausi.
Soprattutto quando non portano applausi.
Io scrivo per chi è ancora vivo. Per chi non si accontenta più del teatrino. Per chi sente la nausea e non la vuole più soffocare. Per chi ha smesso di credere alle facce pulite e alle parole dosate. Per chi, anche da solo, sceglie comunque la verità.
Se non ti piace, chiudi pure. Nessuno ti obbliga a leggere. Ma se ti brucia… se dentro qualcosa si è agitato…
allora vuol dire che non sei stato ancora completamente asfaltato.

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