Ovvero, considerazioni sparse di una pianta che nessuno nota.
C’era, nella piana assolata e dimenticata da Dio (e dagli urbanisti), una graminacea.
Una, dico. Ma a ben vedere erano mille.
Tutte uguali, tutte diverse …come gli uomini, d’altra parte.
Stava lì, dritta e sottile, nel mezzo del nulla, tra una roggia secca e un sacchetto di plastica sbiancato dal sole. Eppure, se uno si fosse fermato a guardarla ,dico guardarla davvero, non con quegli occhi rapidi da passante che scorre come l’acqua sporca nei tombini –,avrebbe notato che resisteva.
Sì, resisteva.
Al sole, al vento, alla falciatrice che l’aveva mancata per puro errore.
E non si lamentava. Non chiedeva diritti, né riconoscimenti.
Era lì perché doveva esserci, senza chiedersi il perché.
Ma chi la guarda una graminacea? Chi le dice “brava”, “coraggiosa”, “resiliente”?
Nessuno.
Non è fiore, non è ortaggio, non è pianta da terrazzo.
È solo ciò che è.
E questo basta.
Già, basta a lei. Non a noi.
Noi che ci agitiamo, che cerchiamo ruoli, definizioni, like e contratti a tempo indeterminato.
Noi che abbiamo bisogno che qualcuno ci dica chi siamo, altrimenti ci sentiamo come foglie portate via da un vento cattivo.
E invece lei no.
Lei è stelo, è vento, è terra.
È una maschera senza volto, ma con un’identità più solida della nostra.
E allora ti viene da pensare che forse aveva ragione quella pianta lì,
quella che nessuno nota.
Forse, per vivere davvero, non serve “essere qualcuno”.
Basta essere.
Ma già questo, per noi, è una tragedia. O una commedia.
Dipende da quanto siamo disposti a perdere il personaggio.

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