Capitolo 2: Lui

Di ricordi ne aveva tanti, perché non aveva mai avuto timore degli orizzonti che amava scrutare, e, quando qualcuno di questi lo incuriosiva, gli correva incontro sperando che fosse quello giusto. Ma poi, ne esisteva uno giusto?

Alcune volte, però, erano loro ad avvicinarsi a lui, come quella volta alle scuole elementari, quando fu circondato da tre bambine che lo confinarono al muro. Due avevano un fisico esile e uno sguardo furbo, mentre una era più robusta, con uno strano sguardo imbambolato. Fu quest’ultima a bloccargli il viso, mentre le altre due pensavano a impedirgli ogni via di uscita.

Gli arrivò sulla bocca una via di mezzo tra un bacio e una leccata: prima soltanto accennata, poi più convinta. Le sue labbra si serrarono per la pressione sui denti; riusciva a malapena a vedere ciò che succedeva, perché i capelli di lei gli coprivano in parte gli occhi e, muovendosi, gli procuravano una certa irritazione.

Mentre una ragazzina premeva il corpo contro il suo — che ormai faceva un tutt’uno con il muro, come la cartina dell’Italia appesa poco sopra — le altre gli sbottonarono i pantaloni, che caddero a terra per la semplice, quanto vecchia e infallibile, forza di gravità. Spinsero via l’amica, nonostante facesse resistenza, e chiamarono tutti gli altri ad ammirare lo spettacolo: sotto il tacco della Puglia e la pianta della Calabria, sorgeva una nuova isola, poco a sud della Sicilia, abitata dal ragazzino in mutande. Al centro sorgeva la statua di una fanciulla in ginocchio, con le mani al volto: simbolo di chi ha voluto qualcosa con l’inganno, e con l’inganno le è stata tolta.

Mentre si tirava su i pantaloni, con le lacrime agli occhi e le vene gonfie di rabbia, nella sua testa fu chiara una cosa: da certi orizzonti, a volte, bisogna scappare.

Da che mondo è mondo, la miglior “fuga” è sempre stata la prevenzione. Un’arte che imparò presto, vuoi per spirito di sopravvivenza, vuoi per tendenza naturale.

Vivere in un quartiere come il suo non era facile. Non ci abitavano certo famiglie facoltose, ma umili persone provenienti da ogni parte di un paese in apparente ascesa, ma dalle abitudini controverse. Inutile dire che l’educazione e le buone maniere erano optional non sempre in dotazione.

Quando scendeva i pochi gradini di casa e si tuffava tra le vie del quartiere nazional-popolare, era un po’ come andare in guerra. Correva frettoloso verso il quartier generale della sua fazione, sperando di evitare i cecchini delle contrade nemiche.

L’esercito veniva poi diviso in truppe, ognuna con un diverso compito e una precisa destinazione. I più piccoli facevano da sentinella, e i più veloci tra questi avevano il compito di correre alla base se le truppe nemiche si facevano minacciose. I graduati se ne stavano al campo base, dove discutevano strategie per future espansioni, ma il più delle volte si dedicavano ad attività ricreative.

Lui non capiva molto il senso e la necessità di tutto questo, non che gliene importasse molto. In fin dei conti, per lui cambiava poco: anzi, il fatto che in quel periodo le truppe di vedetta fossero formate solo da due elementi, di cui uno quasi sempre marcava visita, lo rendeva al tempo stesso indispensabile e solo.

Una situazione quasi perfetta, di tanto in tanto guastata da qualcuno che lo prendeva di mira per puro divertimento o per ammazzare il tempo.

Non ci mise molto a capire come prevedere e minimizzare certe situazioni, e come trasformare la sua apparente remissione in un’arma infallibile ed efficace per tenerlo lontano dai guai. Alla fine, non era divertente per gli aguzzini infierire su chi restava inerme di fronte alle loro angherie. Non c’era sfogo, non c’era gusto.

Erano i primi anni Ottanta, un periodo in cui, dopo il decennio post-bellico e il successivo periodo di rinascita industriale ed economica, seguito — tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta — dalla vittoria di molte battaglie sociali, le famiglie iniziavano ad avere la percezione di potersi godere la vita.

Erano gli anni delle TV a colori, dei cartoni giapponesi, dei tormentoni estivi, della commedia all’italiana.
Lo spirito nazionale era ai massimi livelli e aveva come simbolo l’immagine di Zoff che alzava la Coppa del Mondo, e che sembrava dare inizio a una nuova era: quella del sogno italiano…

In questo quadro scorreva veloce la sua infanzia, fatta di giornate lunghissime e di battaglie spesso promesse ma quasi mai combattute, che — a pensarci oggi — fanno sorridere, ma che a quel tempo erano una forgia potentissima per il carattere.



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