C’è una frase che gira molto: gli altri sono il tuo specchio.
Bella, no? Un po’ mistica, un po’ filosofica.
Il problema è che spesso la si prende al contrario. O peggio: per buona, senza capirla.
No, lo specchio non riflette quello che dici di essere.
Non riflette nemmeno quello che vorresti essere, né tantomeno quello che ti sforzi di affermare davanti al bagno la mattina.
“Sono buono. Sono compassionevole. Sono luce e amore.”
Bene. Ma se poi ti incazzi al primo sguardo storto che ricevi, lo specchio ti sta dicendo qualcos’altro.
E no, non mente.
Lo specchio riflette ciò che sei, nel profondo.
Quello che agisce anche quando tu credi di essere in controllo.
Il contenuto che emerge nei gesti automatici, nei pensieri fulminei, nei giudizi istintivi.
E soprattutto: lo specchio non è lo specchio fisico.
È l’altro.
Ogni persona che incontri, ogni situazione che vivi, è come uno specchio. Ti rimanda un riflesso. Il tuo.
E a volte quel riflesso è spiacevole.
Incontri una persona col volto duro, un’espressione tesa, e dentro senti fastidio. Diffidenza. Rabbia.
Poi vedi che il tuo amico, di fianco a te, saluta quella stessa persona con gentilezza.
Anzi, sembra perfino che colga in quello sguardo qualcosa di fragile.
Cos’è successo?
Avete visto la stessa faccia. Ma non avete visto la stessa cosa.
E allora ti fermi.
E ti chiedi: perché io ho reagito così?
E se sei onesto, scopri che non è “colpa dell’altro”.
È che dentro di te, quell’espressione attiva un codice, un significato.
Forse ti ricorda tuo padre quando era arrabbiato.
O un bullo a scuola.
O la convinzione, appresa da piccolo, che “il mondo è pericoloso, e devi stare all’erta”.
E tutto questo non l’hai deciso tu.
È stato scritto dentro di te.
Dal sistema. Dalla cultura. Dalla tua famiglia — spesso in buona fede.
Ti è stata cucita addosso un’identità.
Fin da piccolo.
Ti hanno detto chi sei.
E tu, piano piano, hai iniziato a crederci.
E ora torniamo allo specchio.
Quando ti guardi — non solo nello specchio vero, ma nella vita — vedi quell’identità.
E la proietti fuori.
Non quello che pensi di essere, ma quello che sei stato programmato a credere di essere.
Non è che non hai possibilità.
È che non sei consapevole del riflesso che stai emettendo.
Così incontri lo sconosciuto e ti parte l’allarme:
“Mi vuole fregare.”
“È un problema.”
“Che vuole da me?”
E magari è solo uno che ha dormito male.
Ma tu, in quello sguardo, ci vedi una minaccia.
Non perché lui lo sia. Ma perché tu, nel profondo, lo stai leggendo con filtri antichi.
Con lenti che nemmeno sai di avere.
E qui la cosa si fa interessante.
Perché se davvero ogni persona che incontri è uno specchio, allora hai una bussola potente.
Non per giudicarti, ma per scoprire cosa stai portando dentro.
Ti senti sempre giudicato?
Forse sei tu il primo giudice di te stesso.
Vedi ostilità ovunque?
Forse è la tua stessa paura, ancora non riconosciuta.
Ti senti trascurato, non visto?
Forse è una parte di te che non hai mai imparato a guardare davvero.
E allora la domanda cambia.
Non più: “perché gli altri sono così?”
Ma: “cosa mi stanno mostrando di me?”
Ma attenzione: questo non vuol dire che “è tutta colpa tua”.
Non sei responsabile dello sguardo duro di qualcuno.
Se uno ti insulta o ti aggredisce, non è che “te lo sei attratto con la mente”.
Non funziona così.
Ma sei responsabile di come reagisci a ciò che accade.
E lì, sì, lo specchio parla.
Se reagisci sempre con rabbia, allora qualcosa di quella rabbia ti abita.
Se vivi tutto come attacco, forse vivi sulla difensiva da una vita.
E questo non è colpa, ma informazione preziosa.
Allora sì, possiamo dire che gli altri ti riflettono.
Non perché siano uguali a te, ma perché — guardandoli — tu riveli te stesso.
È come un eco: l’altro ti rimanda ciò che sei, senza saperlo nemmeno.
E a quel punto puoi scegliere.
Non di cambiare subito.
Ma almeno di guardare con più attenzione.
E magari, smettere di ripeterti ogni mattina quanto sei buono e compassionevole…
…e cominciare ad esserlo davvero, quando il mondo ti sfida.
Perché è lì che si vede chi sei.
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