“Niente quorum per il referendum. Conte: «Rispetto per chi è andato alle urne». Schlein: «14 milioni di voti, più di quanti ne ha presi Meloni»”
(Corriere della Sera, 9 giugno 2025)
È bastato leggere il titolo del Corriere della Sera per capire che, ancora una volta, ci risiamo. Il referendum non passa. Non solo: non raggiunge nemmeno il quorum. Solo il 30% degli aventi diritto si reca alle urne, una cifra impietosa che in qualsiasi democrazia matura dovrebbe far suonare sirene d’allarme. E invece, da noi, diventa occasione per rivendicare successi immaginari. Conte parla di rispetto, Schlein di numeri superiori a quelli di Giorgia Meloni. È questa la nuova frontiera del racconto politico: celebrare la disfatta come se fosse una medaglia.
Ma di cosa stiamo parlando, esattamente? Di un referendum ignorato da sette italiani su dieci. Non per disinteresse, ma per sfiducia. Non è il caldo, il mare, o il weekend lungo. È che la gente non ci crede più. Non crede ai quesiti, non crede ai promotori, non crede al meccanismo stesso. Ha smesso di considerare il voto uno strumento utile, ha smesso di pensare che qualcosa possa davvero cambiare passando da lì. Il 70% che non si è presentato alle urne non è un’assenza casuale. È una sentenza. È un giudizio politico che parla chiaro, anche se non compare nei conteggi ufficiali. E invece i partiti coalizzati, gli stessi che hanno promosso il referendum, si affrettano a leggersi dentro ogni cifra utile a salvare la faccia. Più voti di Meloni, dicono. Ma con che logica? Un referendum su temi specifici e scarsamente sentiti, con un’affluenza da allarme democratico, viene messo a confronto con le elezioni politiche.
La verità è che questa politica, tutta, è diventata incapace di leggere il Paese. Si parla addosso, si inventa numeri buoni per i post social, si finge legittimazione dove c’è solo disillusione. E chi, magari per dovere civico, ha scelto comunque di votare e ha barrato un bel NO, scopre il giorno dopo che il suo gesto è stato scambiato per adesione a chi aveva proposto i quesiti. Come se esprimere dissenso significasse, automaticamente, riconoscere dignità a una consultazione. Come se dire “non sono d’accordo” fosse comunque un modo di dire “grazie per averci provato”.
Siamo arrivati al paradosso: un referendum che non vale, che non passa, che non mobilita, che non lascia il segno, diventa il nuovo campo di battaglia su cui ciascun leader prova a far brillare la propria retorica. Ma la realtà resta lì, implacabile, inchiodata a quel 70% di vuoto. Un vuoto che non è silenzio, ma grido muto. Un grido che dice: non vi seguo più, non vi ascolto più, non vi riconosco più. E finché continuerete a far finta di niente, finché trasformerete ogni sconfitta in una bandierina da sventolare, quel vuoto continuerà ad allargarsi. Finché un giorno, forse, vi inghiottirà del tutto.
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