C’è un’idea che ogni tanto mi torna a bussare nella testa, silenziosa e testarda: e se amare volesse dire lasciare andare?
In italiano, guarda caso, la parola stessa ci dà un indizio: a-mare. Un invito a gettarsi nel mare dell’esistenza altrui senza pretendere di mettergli le boe. Amare davvero , non quella roba da cioccolatini e pubblicità ,forse significa proprio lasciare fluire l’altro, lasciarlo esistere. Senza controllo, senza filtri, senza catene. Amare è accogliere l’altro per ciò che è, senza tentare di raddrizzarlo come fosse una mensola di Ikea montata storta.
E il paradosso è questo: se tu lasci andare qualcuno e quel qualcuno resta , non per dovere, ma per scelta , hai per le mani qualcosa di raro. Non un amore da barattolo. Una connessione. Non fisica, necessariamente, ma animica. Essenziale. E questo tipo di amore non ha bisogno di grandi gesti o parole altisonanti. Si annida nei dettagli: uno sguardo, un gesto spontaneo, una presenza non richiesta. Perché l’amore vero non si imita. Non si forza. O c’è, o non c’è.
Ed è qui che entra in gioco il suo acerrimo nemico: il giudizio.
Sì, perché se l’amore è libertà, il giudizio è la gabbia.
Ogni relazione , praticamente sempre , inizia con una raffica di giudizi. Positivi, certo: “quanto è speciale”, “che connessione”, “mai provato niente del genere”. È un bombardamento di proiezioni ed euforia. Ma sono pur sempre giudizi. E il giudizio, si sa, ha un umore ballerino. Oggi ti idealizza, domani ti sbriciola.
Poi arriva la convivenza, il tempo che scava. E lì comincia la frana. Ciò che adoravi, quella sua spontaneità, quell’essere sopra le righe, diventa pesante. Fastidioso. Troppo. Quello che era unicità diventa difetto. E cominci a volerlo cambiare. Modellare. Uniformare. Perché? Perché non accetti che sia diverso da te. E così, lentamente, l’amore scivola giù dalla scala e inciampa nel possesso, poi nell’odio, o peggio, nell’indifferenza. Tutto per colpa di quel giudizio silenzioso, instancabile, che non smette mai di fare l’inventario delle mancanze altrui.
Un altro grande inganno? L’esclusività.
Ci hanno venduto l’idea che l’amore debba essere monogamo, incasellato, limitato a un solo destinatario alla volta. Ma se ami i tuoi figli, i tuoi genitori, un amico, un partner… sono forse amori diversi? O è sempre lo stesso motore, la stessa fiamma, solo declinata in forme diverse? Chi ha detto che una persona non può amare più d’un essere umano alla volta? Il giudizio, ecco chi. Quel giudice interno addestrato dalla società a distinguere “l’amore giusto” da quello “sbagliato”. A confondere l’amore con il sesso, con la fedeltà, con la morale.
E invece l’amore è sempre lo stesso. Una sola cosa: lasciare andare.
Il resto , il possesso, l’ansia, il dramma , è tutta roba aggiunta. Condizionamenti.
Il vero amore non può finire. E sai perché? Perché non sai nemmeno quando è iniziato. Se riesci a spiegarlo, probabilmente non è amore. È un entusiasmo, un’attrazione, una fase. Ma l’amore vero… l’amore vero è come un fiume carsico: non lo vedi sempre, ma scorre comunque.
Quando finisce, forse è perché non c’è mai stato davvero. Anzi, togli pure il “forse”.
L’amore, quando è autentico, non ha data di scadenza. Si trasforma, si evolve. Perché è figlio della libertà, e la libertà , quando è reale , lo cambia. lo fa crescere, evolvere.
Vuoi una prova? Chiediti: quando hai iniziato ad amare davvero tuo figlio? Non quello che provi al momento della nascita ma quando hai sentito quell’amore come parte di te, senza condizioni. Non lo sai . E’ molto prima della nascita, forse addirittura prima del concepimento. Si colloca in un istante indefinito nel tempo e sconosciuto alla mente. E ora chiediti: può mai finire? No. Non può. E lo sai.
E se vale lì, vale ovunque.
Vale anche per quella persona che hai lasciato libera. E che, magari, continua a starti accanto.
Senza catene. Solo per esserci.

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